Ho sbagliato tutto

Boh. Non mi dice niente.
Cioè sei lì, e fai una foto del genere.
Tecnicamente sbagliata.
Non c’è regola dei terzi.
Sei un professionista ma il mio iPhone metteva a fuoco tutto.

Si è vero.

Potreste dirmi così, come mi è già stato detto, e vi avrei semplicemente risposto…

Si è vero.

Potrei aver sbagliato tutto. Potevo mettermi davanti a tutti, fotografare il mio soggetto in modo che riempisse completamente la scena.
Invece mi sono portato dietro, ma dietro dietro.

Ho sbagliato tutto. Ma ho raccontato qualcosa.
Chi mi conosce fotograficamente sa che il mio stile è “sporco”, pieno di elementi di distrazione… ma non buttati lì a caso.
Servono a indirizzare lo sguardo verso un soggetto e dare un senso, a lui e alla scena.
Così questa foto sbagliatissima e senza senso è diventata una delle mie foto preferite del terzo giorno in sala operatoria. Perché dà fastidio, ti verrebbe voglia di spostare le due persone che coprono la visuale e vedere cosa succede… perché sai che qualcosa sta succedendo.

Spostatevi!
Eppure no. Stanno lì. E quel loro stare lì ti porta ad analizzare. Ti porta a farti capire che ci sono 3 persone che stanno seguendo una azione che non saprai mai qual’è, ti porta a guardare quelle ciglia che accarezzano la mascherina (che più le guardi e più vorresti toccarle), e se ti soffermi ti porta a vedere che le due persone sfocate si stanno sfiorando, e davvero forse trattengono il fiato concentrati. Stanno lavorando, e tu sei uno spettatore, dentro la mischia.

Ti fa capire lo spessore della concentrazione.

Se io fossi uno che fa due foto, starei lì a fare due foto e poi me ne uscirei senza problemi. Invece sto lì fino alla fine e voglio capire cosa succede… che poi non ci capisco nulla comunque, ma almeno analizzo la scena, è il mio mestiere. E il mio mestiere è farla piacere agli occhi degli spettatori. Far trasparire le emozioni e canalizzare lo sguardo.
E’ un po’ quello a cui servono alcuni pulsantini su una reflex: canalizzare dove vuoi tu. In fondo noi fotografi, se siamo bravi, siamo un po’ illusionisti.

Poi ho avuto modo di parlare con uno dei tre soggetti della foto (i nomi li dirò nei titoli di coda del progetto fotografico), e mi ha detto una cosa che mi ha colpito: più piccolo è il paziente e più ci stringiamo attorno a lui.

Che tecnicamente è vero, fisicamente intendo. Ma sicuramente (conoscendolo un po’) intendeva anche qualcos’altro.
Quindi direi che la foto non è venuta così sbagliata.
Basta capirne il senso, trattenere il fiato e vederla col cuore un po’ dolce.

Share your thoughts

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi