Bancale rotto

“Sono dentro”.

Me lo dico quasi sempre quando entro in un luogo abbandonato, e negli ultimi anni di edifici industriali abbandonati ne ho visti di tutti i tipi.
Appena entrato, alla mia sinistra il parcheggio dei dipendenti ormai chiuso e nascosto dalle erbacce, proseguendo verso destra vedo le casse mobili precariamente in piedi e arrugginite nel piazzale; l’asfalto ormai è rotto, nelle crepe hanno preso posto fili d’erba, a volte arbusti alti più di un metro.
Il capannone prefabbricato è sporco dagli agenti atmosferici, la facciata degli uffici è imbruttita dallo smog, i vetri delle finestre hanno quella velatura opaca di quando non li pulisci da mesi, agli angoli dei muri e per terra si stanno accumulando strati di fogliame, cartacce, e bicchieri di plastica.
Non c’è alcun movimento attorno, lo scenario è come sono abituato a vedere in tutti i luoghi abbandonati che ho visitato.
A differenza che non mi trovo in un luogo abbandonato. Ma non voglio trarre subito delle facili conclusioni.

Periferia industriale a sud di Milano. Una normale giornata lavorativa.

Mi accoglie fuori dall’ingresso agli uffici, non la vedevo da parecchio tempo. Non ha mai smesso di lavorare lì, come altri 14 suoi colleghi che a turno ogni giorno si presentano in ufficio.
E’ dannatamente irreale, non sono abituato a vedere lavoratori in un capannone apparentemente abbandonato.
Mi sorride, mi abbraccia, è felice di vedermi. Poi si accende una sigaretta. La prima volta che la vedo fumare. Le cose, evidentemente, cambiano per tutti.
Davanti a noi il traffico incessante della tangenziale Est.

Entriamo negli uffici e tutto sembra prendere una “piega normale”. Qualcuno al telefono, qualcuno al computer. Eppure fa troppo freddo, infatti tutti hanno la giacca. Solo alla “reception” una stufetta da bagno soffia dell’aria tiepida.
Mi salutano altri volti conosciuti, qualche battuta.
Di oltre 70 impiegati ne sono rimasti in 15. Da quando l’azienda ha smesso di fare ritiri e consegne, di mese in mese le persone hanno iniziato ad andare via: chi ha trovato altro, chi si è semplicemente licenziato, chi è letteralmente scappato. Tutti abbandonati fin dal primo giorno in un grosso mare in tempesta, senza mai vedere un porto. Si salvi chi può!
Ma non voglio scrivere nulla dell’accaduto, non voglio dare dettagli di economia, cronaca o sindacare opinioni. Chi lavora nei trasporti si sarà fatto un’idea.
Voglio parlarvi di queste 15 persone e del luogo dove passano la maggior parte del loro tempo.

“E’ da mesi che viviamo nella totale incertezza, nessuno ci dà indicazioni, addirittura abbiamo contattato noi un idraulico per farci riattivare il riscaldamento”. E mesi che lavorano gratis.
Si perché, seppur non facendo più ritiri o consegne, di merce in magazzino ancora c’è qualcosa. E in realtà l’azienda non è ufficialmente chiusa. In realtà i lavoratori in busta paga leggono una voce che parla di cassa integrazione, ma in realtà la cassa integrazione non gli è stata ancora concessa. La realtà è completamente storta.
Nel frattempo arriva un autista con un furgoncino, a ritirare una lista di merce stoccata nei magazzini chissà da quanto tempo.
“Tanti (ex)clienti ci dicono che hanno difficoltà a trovare un autista disposto a fare ritiri qui da noi” mi viene detto.
Devi trovare un autista paziente, cosciente di dover aspettare magari 1 ora: non ci sono più 70 impiegati, la rete informatica è ferma al “crack”, non esiste un inventario di magazzino aggiornato.
Non esiste un magazziniere.

Senza una vera guida, un capo, queste 15 persone da mesi si arrangiano a fare tutto.
E lo vedi dai loro occhi: sono occhi stanchi. Chi ha figli piccoli, chi ha passato lì dentro la vita intera, chi da anni prende autobus e treni e arriva ogni giorno, chi è uscito da un ospedale. Eppure sono lì, con la voglia di lavorare ma abbandonati come i muri attorno a loro.

Mentre mi accompagna a fare un giro attorno al capannone, si accende un’altra sigaretta. E’ una donna forte, da quando la conosco ha sempre combattuto. Mi fa vedere file di immondizia ferma da quasi un anno, ruderi di carrelli, casse che stanno in piedi per grazia ricevuta, sterpaglie dappertutto.
All’interno, gli uffici si sono fermati all’ultimo giorno di lavoro: documenti sulle scrivanie, qualche penna ancora aperta, delle foto di uscite tra colleghi, un disegno di un bambino attaccato a una parete, i calendari con il mese di febbraio 2017.
In un ufficio un pacco di crocchette per far mangiare qualche gatto che vive nel piazzale.
Ma tutto è immobile.
Rivedo il mio vecchio ufficio. E alcune scartoffie come le avevo lasciate l’ultimo giorno del mio lavoro.

Esco e ritorno nel traffico della zona industriale.
Mi rendo conto di averli abbandonati anch’io, mesi fa. Preso dalle mie paure, dai miei progetti e dalle mie idee. Un po’ li ho messi tutti e 15 dentro un cassetto. Eppure oggi posso dire di aver capito che queste 15 persone hanno una forza dentro enorme.
Un po’ tutti li abbiamo abbandonati, è una notizia che già all’epoca aveva destato poco interesse al pubblico, figuriamoci oggi. Ormai la gente passa davanti ai capannoni e considera quel posto come abbandonato.
Qualche tempo fa qualcuno mi disse “Sai, ogni tanto passo lì davanti e spesso vedo una ragazza al telefono lì fuori… ma c’è ancora qualcuno?”

Per quanto concerne l’abbandono, il nostro cervello ragiona in maniera molto strana: se considera un posto abbandonato, gli occhi si abituano a non vederlo più, e di conseguenza il cervello libera “spazio” per altre immagini.

Oggi ho usato la mia dote per trasmettervi ciò che ho visto. Ho scattato foto per farvi vedere ciò che il nostro cervello deve ricordare.
Mi sono permesso di non scattare forse la foto più bella che potevo scattare, perché certe immagini devono rimanere nel cuore di chi le vede e non venir pubblicate.
Una piccola opera di un mio ex collega appesa sopra la sua postazione di lavoro, un angolino di “normalità”, creatività e umanità disarmanti.

Anche un bancale rotto si può trasformare in qualcosa di nuovo.
A voi 15 va tutta la mia più grande stima.

Un ex dipendente,
uff. Contenzioso, Artoni Trasporti SPA

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