Sbarco in Pediatria

Ogni mattina, di routine come prima azione (anche prima della pipì e del caffè) guardo fuori dalla finestra. Se piove, mi girano le balle.
Oggi pioveva.

Quindi (dopo la pipì, il caffè e un paio di imprecazioni) sistemo la borsa, prendo l’ombrello e me ne esco per strada per raggiungere l’ospedale. E’ una giornata importante per me… maledetta e stramaledetta pioggia.
Raggiungo il padiglione di pediatria, che sta dentro un budello di stradine del complesso ospedaliero, salgo un altro budello di scale per raggiungere il secondo piano, entrando con nonchalance in luoghi proibiti e mi rendo conto di aver sbagliato ingresso. Maledetta e stramaledetta pioggia.
Ri-scendo il budello di scale, entro all’ingresso indicatomi, faccio un budello di cunicoli per raggiungere il secondo piano e finalmente mi ritrovo davanti al mio goal (come nel gioco dell’oca).
CHIRURGIA PEDIATRICA.

Apro la porta e mi sento come il primo giorno di scuola. La caposala mi accoglie con un “Andrea! Ciao, benvenuto, oggi è una giornata davvero incasinata”.

No, perché raggiungervi invece è stato semplicissimo.

Dicevo, il primo giorno di scuola. La caposala mi avvisa subito: devo arrangiarmi un po’ il primo giorno, c’è stato lo sciopero degli ANESTESISTI… che penso sia un po’ lo sciopero dei BENZINAI in ambito ospedaliero: fanno sciopero e si incasina la gente. Va bene, mi arrangerò. Il primo giorno di scuola devi fare bella figura, insomma non devi far vedere che sei l’ultimo pirla cascato da Saturno. Quindi mi indica un computer, dal quale mi stampo i fogli che mi servono. Poi entra una infermiera a cui chiedo una graffettatrice per pinzare i fogli. Poi entra una altra infermiera a cui chiedo come fare le fotocopie. Poi mi si presenta una volontaria a cui chiedo una penna. Ma per fortuna avevo portato la macchina fotografica.

Inizio, impacciato, a scrutare le varie stanze, schivando come Alberto Tomba le bandierine in camice bianco di infermieri e dottori. Salve… salve… salve…

Incontro LA PILOTA. Si chiama Dalya, ha 3 anni e mezzo e una coda di cavallo in testa, ma quella alta, quella che fa figa. E’ a bordo della sua Fiat 500 rosa (penso Abarth), circondata vicino al letto da mamma e papà. E’ un po’ timida, mica vuole che le faccia le foto! La mamma di Dalya ha un sorriso di quelli che ti colpiscono come un ceffone di quando rimani imbambolato, sotto una cascata di capelli ricci. Sembrano tranquilli, mi dicono che avrà una operazione semplice. Dayla non è tranquilla: non vuol perdere tempo e dar fiato al motore del suo bolide.
Quando arriva l’infermiera con il lettino per portarla in sala operatoria, lei si rifiuta: ha la 500! Rimanda al mittente l’infermiera e parte sgommando con la 500 rosa, percorrendo perfettamente sulla mezzeria della corsia fino all’ingresso della sala operatoria. Poi parcheggia a filo della parete e scende. Nemmeno una 20enne patentata riesce a fare così bene a bordo di una 500.
Mentre il papà affannato la raggiunge, lei lo porta dietro una colonna e gli dà un bacino, prima di entrare con la mamma. Non tocco la macchina fotografica: sono un fotografo, ma non sono un disturbatore di momenti così preziosi e intimi. Il papà rimane ad aspettarle fuori dalla sala operatoria: ciao papà, ciao! stai tranquillo torno presto!
E’ un po’ il destino di noi papà: aspettare fuori dalla sala operatoria, poi fuori dalla discoteca… ci guardiamo negli occhi e ci capiamo. In entrambi i casi sei in ansia, ma poi va tutto bene.

Mentre percorro il corridoio, scatta la finale di champions. Al calciobalilla LO SPORTIVO Andrea sfida la volontaria Marika. A me il calcio non interessa proprio niente, eppure sento una attrazione verso quella sfida, un po’ come Italia-Germania 2006. Così mi avvicino a loro. Andrea è alto come il calciobalilla, e coordina i giocatori appollaiato su una sedia: ha uno di quei tubicini al polso, di quelli che ti attaccano all’ospedale… non so come si chiamano, lo scoprirò. Insomma, seppur col tubicino, tira delle steccate che Marika soffre e suda per rimanere in partita. Io inizio col tifo, ma il COACH Andrea non si lascia trasportare e con la sua freddezza segna il 2 a 1. Io entro quasi in estasi, e mi verrebbe voglia di lanciare un fumogeno sul calciobalilla per rendere realistica questa gara. Ma vengo attratto da una musica, e mi alzo al 45′ minuto.

Seguo la musica ed entro nella stanza del MUSICISTA, un ragazzone di nome Graziano. Ha una pianola in mano e le cuffie alle orecchie, cuffie da DJ, mica quelle del walkman della InnoHit che avevo io nel 1989! Entro nella sua stanza, e gli dico “ti piace suonare eh?”. Graziano ovviamente non mi risponde, non mi rispondo neanche io quando mi guardo la mattina allo specchio, figurarsi lui con me. Mi risponde il papà: “no a lui piace ascoltare la musica”. Giusto. Pirla io, effettivamente non stava toccando i tasti.
Mentre parlo con il papà che mi dice che lui, il figlio e la moglie sono lì da 5 giorni e oggi vanno via, Graziano mi tocca un po’ con le sue mani fasciate. La mamma mi dice “Si, lo fa per farti sapere che è lì e ti ascolta, per farsi notare”. 
Dentro di me arriva un pugno al cuore. 
Parlo un po’ con i genitori di Graziano. Chiedo al papà come si trova in questo ospedale, lui mi risponde che si trova bene, ma ormai è abituato dopo 57 interventi del figlio, ormai è la vita normale. Penso che stia scherzando: 57? Cinquantasette? Io già mi lamento se vado 2 volte dal dentista in un mese. E questo ragazzino di 15 anni ha subito 57 interventi. E cammina ancora e ascolta musica.
Uscendo, la mamma mi dice “Grazie per quello che fai, è un bel gesto”. Cioè lei deve ringraziare me? ME??? Si rende conto di quello che fa ogni giorno e ogni notte da quando quel ragazzo è venuto al mondo? Sono io che dovrei baciare i piedi dove cammina! Eppure c’è gente umile e forte. 

Mi siedo un attimo da solo, a riguardare le foto che ho scattato. Alcune sono davvero belle. Mi interrompe lo SPORTIVO Andrea, che viene da me e fa tutto un discorso serio riguardo la partita che ormai era volta al termine con una netta sconfitta del volontariato di Marika. Lo guardo perché vorrei fare il serio, dire cose serie… poi mi dice “Insomma, ho vinto quattro-a-due! Ora vado a mangiare ciao ciao!”.

Io dico “cia…” e la O mi si strozza in gola.

Esco a prendere aria fresca. Ho ricevuto tante informazioni, accumulato tante storie di piccoli eroi in un mondo così drammaticamente fantastico, che devo stare 5 minuti da solo.
Stasera sto pensando a Dayla che sta dormendo con la sua coda su un cuscino al San Matteo, a Graziano che sta tornando finalmente a casa in Piemonte con mamma e papà (che ringrazio io) e Andrea che ha il mio nome, ma a differenza di me ha un tubicino sul polso.

Andrea ha vinto 4 a 2. Andrea è un campione. Uno dei tanti di oggi.

Andrea, Dayla, Graziano e gli altri bambini che ho conosciuto oggi mi hanno insegnato che è inutile brontolare se la mattina fuori piove.

Andrea ha vinto 4 a 2 anche se piove.

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